Cinquant'anni fa le prime case
ecco l'avventura dell'Isolotto

di Maria Cristina Carratù

Repubblica, 10 aprile - Firenze Cronaca, pagina X

 

“Un miraggio, un sogno”. Bambini sorridenti, madri con le lacrime agli occhi.

Per le masse di sfollati, senza tetto, profughi, rimpatriati, che anche nella Firenze del dopoguerra costituivano un esplosivo problema sociale, il 6 novembre 1954, giorno di consegna delle prime case dell’isolotto, fu una data storica. Erano passati 5 anni dalla cosiddetta Legge Fanfani (che fissava “provvedimenti a sostegno dell’occupazione anche con la costruzione di case per i lavoratori”), e il sindaco La Pira si era a lungo battuto per ottenere a Firenze la sua parte. Con comprensibile orgoglio, dunque, nell’ottobre ’55 poté portare i sindaci delle capitali del mondo, a Firenze per un convegno, a fare un giro nel quartiere appena inaugurato, dove migliaia di famiglie di operai, artigiani, maestri, dipendenti delle forze armate, profughi istriani, immigrati dal sud, rimpatriati greci ed albanesi, ex contadini, tutti con un lavoro, magari agli esordi, ma privi del bene primario di un’abitazione, avevano ricominciato a vivere.

“C’era una miseria enorme” ricorda don Enzo Mazzi, che nel ’54 approda all’Isolotto mandato dal Cardinale Elia della Costa, “ma anche una straordinaria vitalità. Non si vedeva l’ora di lasciarsi alle spalle la tragedia, e di costruire in pace il domani”.

Un clima storico speciale, su cui si innesta, dando luogo a una sorta di “miracolo urbanistico” di cui tutt’oggi si avvertono gli effetti (la “tenuta sociale” dell’Isolotto rispetto alle altre periferie della città, rivelata da un indagine della Fondazione Michelucci), il progetto di villaggio firmato da architetti di eccezionale livello, da Michelucci, Gamberini, Fagnoni, a Del Debbio, Vaccaro, Poggi, Tiezzi. “Miracolo” ora ricostruito per la prima volta in tutta la sua portata, per iniziativa del Quartiere 4, nel libro di Daniela Poli (con Lisa Ariani) Storie di quartiere – la vicenda INA CASA nel villaggio Isolotto a Firenze (Polistampa), che ripercorre l’intera storia dell’Isolotto: dalla legge Fanfani; agli espropri dei terreni, “ricchissimi di attività gli orti, i campi, le discariche che davano lavoro a spazzaturai e cernitori”, e di antichi manufatti rurali; all’avvio dei cantieri fino alla consegna dei 1.600 nuovi alloggi (9000 vani).

“Mentre dappertutto si puntava sui casermoni e, in seguito, prenderà piede un’architettura di tipo solo funzionale”, spiega l’autrice, “all’Isolotto, ispirandosi piuttosto al modello delle new towns inglesi, si fanno case vernacolari, piccole, basse, diverse luna dall’altra, che facilitano le relazioni, i contatti, e subito una chiesa, un portico”.
Anche i materiali, i colori, e il verde che “cuce” le parti dell’edificato, richiamano l’antico paesaggio, e insomma l’immagine finale è quella di una “città nella città”, dove, diceva La Pira (e prevedeva lo stesso piano dell’INA Casa), “rapporti sociali e convivenza dovevano essere i primi risultati da ottenere”. E se è vero che ancora per anni mancheranno i servizi cruciali – bus, scuole – “sarà proprio la forte mobilitazione per ottenerli”, ricorda la Poli, “a cementare la coesione sociale, a tutt’oggi valolre aggiunto dell’Isolotto”. La modernizzazione economica, obiettivo della stessa legge Fanfani, trova così a Firenze “una cornice urbana capace di assorbirne le asprezze”.