Ricordi, all'Isolotto...


Il CIRCO GRATTA

di Paolo Chellini

 

Soltanto d’estate avveniva il prodigio dell’arrivo del Circo Caroli
(detto popolarmente Circo Gratta, dal nome d’arte del Clown capostipite
della famiglia Caroli).

Succedeva che un bel giorno - giugno, luglio o agosto non ricordo - arrivavano
3 o 4 carrozzoni colorati e come per magia nel prato disperato e bellissimo
di piazza dell’ Isolotto si alzava il tendone delle meraviglie, il paese
delle risate, il vero Festival di Sanremo dell’Isolotto.

Reduce dai trionfi di piazza Torquato Tasso e del Campo di Marte, di quelli di
Rovezzano o addirittura di Pontassieve, il Circo Caroli riservava all’
Isolotto il periodo migliore dell’anno e l’Isolotto rispondeva riempiendo
completamente gli spazi paganti.

La sera del primo spettacolo l’aria vibrava d’attesa e dai sentieri
metropolitani si udivano spengnere migliaia di televisori, la gente subito
dopocena s’avviava verso la Piazza, famiglie intere col golfino
sottobraccio mosse in tempo per trovare posto in prima fila, bande di
ragazzi impazziti di estate e di buio, giovanotti speranzosi d’incontri,
mamme con le figliole e figliole con le mamme.
Tra code per i biglietti, acquisti di gassose e vita di società c’era il
tempo per uno sguardo fugace o forse per sfiorarsi; avere 15 anni era
vivere il mistero.

Le luci artificiali da dentro e fuori il tendone inondavano d’argento e
d’ oro l’erba, e la gente che non era potuta entrare perchè completo o
perchè non aveva soldi, si accomodava all’esterno in attesa che esauriti gli
spazi a pago, venissero sollevati i tendoni laterali da dove il pubblico in
eccesso poteva assistere stando in piedi, a buona parte dello spettacolo,
contribuendo con pochi spiccioli dei quali Gratta stesso comicamente
ringraziava a gran voce.

Gratta era uomo di popolo ma Re sulle assi del suo Circo e amava i suoi
sudditi, per lui il piacere più grande, oltre a sostentare la propria
famiglia era dispensare allegria e ironia e tutti anche i nullatenenti
potevano assistere agli spettacoli .
Gli artisti che con lui portavano avanti il piccolo Circo, (15 -20 tra
persone e cagnetti ciclisti) appartenevano quasi tutti alla famiglia Caroli,
Trapezisti Giocolieri Equilibristi Clown.

La serata si snodava fra torce roteanti, lancio di coltelli e cani in
bicicletta il tutto inframezzato dalle sortite di Gratta, che come “testa di
cuoio” della risata, irrompeva sbattendo paperescamente l’enormi scarpacce
sul palco.
I suoi duetti con Ughino, comico e barzellettiere toscano che ha lavorato in
seguito per varie tv locali, erano il pezzo forte della serata e la frase
“donna frigorifera” lanciata ad un immaginaria e riluttante femmina bramata
era l’urlo di mille voci.
A metà serata arrivava il momento del pubblico che veniva chiamato a
partecipare allo spettacolo tramite gare di barzellette, di bellezza, di
canto, di ballo, di cocomero e spaghetti mangiati senza mani e quant’
altro, nelle quali l'Isolotto esprimeva virtù e tare con i suoi idioti
geniali e i suoi geni incompresi.
I meglio, i peggio, ma soprattuto i più bizzarri esemplari della razza
Isolottiana salivano i gradini del palcoscenico e della notorieta rionale.
“ I’ Bello “ mi sembra fosse il sopranome di uno di questi scemi di paese,
trapiantati da chissà quale provincia disatrata del dopoguerra italiano, di
cui l’Isolotto era ben fornito: matematico e idiota, l’omo metteva paura,
aveva gl’occhi strabici all’indentro e il naso a gancio; ne risultava uno
sguardo sporco e torbido. “Bello, quanto fa tremilaquattrocentosessantuno
per settecentocinquantaquattro ?” e subito in risposta sussurrava numeri
che estraeva dai suoi conti fatti di veloci borbottii e di passi in croce ;
risposte esattissime e nessuno dubitava. L’omo stanziava in piazza e
vinceva spume a scopa nel Bar sotto i Portici e tutte le stagioni lo trovavi
a non far nulla con grande convinzione

“Il Passeri” invece lavorava, cioé vendeva duri di menta, noccioline,
bibitecarde e gelatisciolti allo stadio e alle Cascine e in tutte l’
occasioni si desse il caso, persino ai pescatori sull’Arno. Cosciotti da
porco di quattro quintali sotto Bermuda coloniali, sandalo a frate estate e
inverno, mostruosa buzza fuori della canottiera, cappello di paglia a tesa
larga e una faccia grassa e alcolica da vecchio caratterista di teatro
elisabettiano con tanto di riccioli biondi e occhi azzurro ghiaccio.
Portava la sua cassetta a tracolla sotto il sole e sudava tutto il vino che
beveva, non sapeva far nulla in particolare ma una comparsata da Gratta gli
toccava di sicuro.

Poi c’era un ragazzo, con il gozzo sporgente da uccello e lo sguardo da
santo flesciato, che voleva cantare e comunque cantava e vinceva la gara ,
poi quello che mangiava più spaghetti senza mani, poi il più forzuto, poi
quello che sapeva la meglio barzelletta e quello che vinse la corsa nei
sacchi e via di seguito...

-- Negli anni ‘60 Gratta, durante una serie di spettacoli in Oltrarno e
precisamete in piazza Torquato Tasso, inserì tra i consueti numeri di arte
circense quello più da night club di un notissimo transessuale fiorentino
che, vestito come una vamp e imitando le movenze di Marilyn e di Brigitte
Bardot raccolse un successo strepitoso; il popolo di S. Frediano gradì
enormemente la variazione di programma e per alcune sere invase festosamente
il tendone aspettando a gloria le esibizioni della Romanina e il suo
censurato strip-tease finale, accompagnando il tutto con gran clamore che a
qualche benpensante dette noia. --

...lo spettacolo andava avanti, il trapezio, i coltelli, la musica forte
ma già malinconica e Gratta ringraziava regalando un ultimo scampolo d’
arte alla gente che iniziava ad uscire voltandosi indietro sperando in un
ultima smorfia, un ultimo “grAZZZIIEEE!!”, la serata era ormai alla fine,
i ragazzi serpeggiavano infaticabili, le mamme ammucchiavano i bambini
e li portavano a letto, bizzosi.

Paolo