ECCO LA PASSIONE DI MEL GIBSON
di Vittorio Zucconi, 11 febbraio 2004

LOS ANGELES - Quando si riaccendono le luci in sala e l'ultimo schizzo di sangue si stacca dalla retina dove il regista Mel Gibson ha cercato di incollarlo per due ore, resta rappresa una domanda cui il film-scandalo del 2004 sulla Passione di Nostro Signore non risponde. Perché? Quali sono le ragioni, l'intento, la carità, che hanno chiamato Gibson a spendere 25 milioni di dollari per finanziare e difendere un film sulle ultime ore di Gesù raccontandole con la sensibilità poetica di un peso massimo deciso a spaccare la faccia all'avversario sul ring delle religioni?


Nella saletta privata della Fox a Hollywood intitolata a Darryl Zanuck, il produttore del "Giorno più lungo", per l'anteprima del film che andrà in distribuzione il 25 febbraio, vedo gli altri invitati restare impietriti a guardare scorrere anche i "crediti", i titoli di coda.
Sembra a tutti noi difficile alzarsi e sembra blasfemo anche dire male di un film che ha un solo, evidente obbiettivo: non tanto fare soldi, che pure farà perché già almeno 125 milioni di copie del film sono state richieste da organizzazioni cristiane militanti, ma scuotere quello che nella mente febbrile di un cattolico offeso dal "buonismo" del Concilio Vaticano II come Gibson, sono la pigrizia, l'arrendevolezza, l'ignavia del cristiano di fronte alla secolarizzazione e all'assedio di altri Taliban come lui.
Se parleremo male del film, bestemmieremo Gesù? Offenderemo i Cristiani di ogni confessione? Se non ci fosse il ricatto del "fattore Gesù", "Passion" sarebbe un qualsiasi e scontato "slash movie", tagli, ferite, torture, ecchimosi, orrori, urla, diavoli depilati e truccati da Boy George, ed effetti grand guignol, girato tra Cinecittà e la Matera dei Sassi, un'arida e magnifica Gerusalemme reinventata.
- Pubblicità - Ma se la storia è scontata, la Storia rimane la più grande mai raccontata. Neppure Hollywood è riuscita a distruggere la fatica di Matteo, Marco, Luca e Giovanni e il miracolo della Passione è sopravvissuto anche allo spadone di Braveheart. Ma perché tanto compiacimento nel sangue? Perché anche questo è un film "post 11 settembre", un film di guerra, concepito come arma nell'arsenale del conflitto di civiltà. Quello che Bush fa con le bombe, Gibson vuol fare con la macchina da presa, propagandare, conquistare, salvare.
Questo è il senso di un film che sarebbe altrimenti inutile, dopo tante opere sulla Passione, se non fosse ideologico nell'insistenza sul male che altri infedeli, quella volta gli Ebrei e i Romani come oggi i Musulmani, inflissero al solo vero Dio e alla sola vera civiltà, a colui che dice "io sono la via, verità, la vita".
Gibson si sente il Carlo Martello del XXI secolo, chiamato alla nuova Poitiers e a salvare il mondo.
Alla vigilia del suo primo viaggio in Israele, quando chiesero a Bush che cosa avrebbe detto agli ebrei, lui rispose: "Che andrete tutti all'inferno".
Ma nel cristiano abitudinario e poco evangelizzatore che alla fine, quando trova la forza per alzarsi dopo avere subito anche una breve sequenza osé con le gambe nude e una mezza natica del bel Jim Caviezel, il Gesù risorto che esce dal sepolcro, fa nascere una struggente nostalgia. Torna la voglia del Cristo affettuoso, tranquillizzante e un po' melenso del nostro catechismo infantile con il cuore in mano, che gli evangelisti, e soprattutto l'unico di loro che lo conobbe davvero, Giovanni, ci raccontano. Il Cristo che muore nella Passione straziante secondo Matteo ma senza la vivisezione di Gibson. Il Cristo di Bach e della Messa di Mozart, non di questa colonna sonora Dolby Stereo Surround Sound Boom Boom che deve esplodere di decibel a ogni frustata sulle natiche del Nazareno per scuotere gli increduli. Mentre ettolitri di sangue sgorgano dal corpo di Caviezel, che ci ha informato di avere avuto la sua brava epifania girando il film in Lucania e a Cinecittà, luogo di ben note ed eroiche fedi religiose, torna alla mente la dissanguata tragicità del Cristo Morto del Mantegna e a quella ci si aggrappa per non affogare nel ketchup.

 
Eppure il film è stato spurgato e autocensurato, da Gibson, per renderlo accettabile, per rendere meno esplicito il sottotesto antisemita che corre nel suo racconto. Ha tagliato la maledizione del "suo sangue ricadrà su di voi" che fu la fonte dell'antisemitismo chiusa dal Vaticano II e respinta dalla setta cattolica alla quale Mel Gibson, australiano nato negli Usa, fu educato dal padre, ma non c'è bisogno di dirlo.
Di fronte al "gubernator" (Schwarzenegger?) come lo chiama il pestifero prete Cajafa, il Ponzio Pilato che almeno vacilla, si interroga, sospetta la vera natura del Nazareno spinto da Claudia Gerini, la moglie che lo avverte in un latino da ginnasio "sanctus est" e addirittura parla benissimo l'aramaico, la lingua dei popoli semiti in quel tempo, ci sono i forcaioli del Sinedrio che assaporano l'agonia efferata dell'agnello sacrificale e il ghigno osceno della folla urlante, l'Ebreo deforme e sanguinario, "crucifige, crucifige".
Sarebbe più rassicurante uscire dall'anteprima negli studi della Fox di Murdoch che ha accettato di distribuire il film, licenziando anche questa Passione secondo Arma Letale come la solita operazione commerciale, ma non è così. Gibson avrebbe potuto fare più soldi e più in fretta reindossando la sua espressione da folle con tendenze al martirio di "Arma letale", di "Patriot" o dell'irredentista scozzese sbudellato.
Invece a questa sua rilettura della Passione in latino e aramaico, ma con i sottotitoli misericordiosamente imposti dalla Fox per aiutare chi per caso non ricordasse bene la lingua di Aram nipote di Noè o il "rosa rosae" dei Romani, egli crede davvero.
Ci vuole salvare, Mel di Galilea, con ciascuna della frustate inferte dalla soldataglia ("Stulti!" grida il buon centurione ai suoi scherani, come se "stultus" fosse stato il massimo insulto tra i rudi legionari). Può darsi che ci riesca, e che questo sia il linguaggio visivo che deve essere usato per "scandalizzare" l'audience di oggi.
Alla gerarchia cattolica americana pare non sia dispiaciuto, anche se è apocrifa la frase attribuita a Papa Woytila, "è successo proprio così". E pazienza se qualche rabbino si offende, se all'anteprima gli invitati ebrei hanno rifiutato di partecipare, se Maria di Magdala non poteva essere bella e polposa come la Bellucci, se Cristo è il solito fusto da calendario con barbetta, baffi e riccioli nonostante questa iconografia sia postuma di secoli alla sua morte.
"Nihil sine domino" avvertono i Gesuiti, nulla accade senza la volontà di Dio e non saremo noi, miserabili spettatori peccatori, a stabilire che cosa avesse in mente Adonai permettendo a Mel Gibson di fare questo film sul suo Figliolo.
(11 febbraio 2004 )